METTIAMO I PALETTI
SULLE CHIGLIE CHE SI
STACCANO
Non
mi sorprendono i notiziari che leggo nel web di barche che hanno perso la
chiglia.
Non
mi sorprendono sia perché riguardano barche da regata, dove
l’ esasperazione è
all’ ordine del giorno, sia perché riguardano sempre
più le costruzioni in
compositi con fibre aramidiche.
Per
dirla tutta in questi ultimi anni (in cui la normativa CE ha definito
sciocche regole di controllo di qualità di produzione (vedi articoliechiacchiere giugno 2009)
che sono state emanate credo solo per favorire i grossi cantieri d'
oltralpe e dove i nostri europarlamentari italiani hanno
dimostrato
tutta la loro inutilità ed ignoranza) i naufragi hanno riguardato anche
barche da crociera, con la variante però del DISTACCO
della chigliaa causa della sua ESPLOSIONE; pare infatti che nelle
fusioni di ghisa si creino delle forti tensioni interne durante il loro
raffreddamento, se eseguito male e lentamente...Strano, perchè queste sono tutte cose che si
sanno da decine e decine di anni !
Invece delle fibre aramidiche si sa meno.
Su
questo argomento ho già scritto abbastanza da annoiare anche il lettore più
paziente, vedi gli articoli di settembre 2006, ottobre 2009, gennaio 2010,
aprile 2010 (in particolare quest’ ultimo); allora perché ci scrivo sopra
ancora ?
Perché
mi piace che la cultura nautica sia “viva”.
Mi
piace cioè che tutte le nozioni e le formule su cui si progetta e si costruisce
diventino sensazioni vive del nostro corpo e non solo pagine di trattati e di
relazioni tecniche.
Questa
è una cosa essenziale per uno skipper che se ne va per mare; io l’ ho imparata
negli anni perché l’ università non me l’ ha mai insegnata; infatti tutti i
metodi di calcolo e i numeri (famigeratamente anonimi) non riuscivo minimamente
a trasformarli in azioni concrete e a percepirne tutta la loro importanza.
Se
per esempio su un pilastro della sezione di cm 25x25 lo sforzo assiale di
compressione risultava di 30 tonn, non mi rendevo conto che esso doveva sostenere
l’ equivalente di 3 barche coma la mia (Comet 12).
Se
per esempio sui bulloni della piastra di base di un winch il momento era pari a
200 Kgm, non mi rendevo conto che essi dovevano sorreggere 3 persone adulte
appese a una trave distante un metro.
Ecco,
in questo senso intendo “viva” la cultura nautica: avere cioè la capacità di
percepire lungo i nostri arti e i nostri muscoli l’ entità di quei numeri che
valutano gli sforzi all’ interno delle cime, dei bozzelli, dell’ albero, delle
parti dello scafo.
E’
una sensibilità importante per chi va per mare, perché gli fa apprezzare la
concretezza di tutte le situazioni di potenziale pericolo per se’, per l’
equipaggio e per la barca.
Così,
ora, torniamo al tema delle chiglie che si staccano.
Avete
mai piantato un palo in terra ? Un paletto di legno dandoci sopra con una mazza
? Magari per fare una recinzione provvisoria all’ arrivo di una corsa podistica
o per sostenere un alberello appena piantato ?
Sì,
bene.
Ora
immaginate di doverlo togliere perché la gara è finita e la recinzione
provvisoria deve essere tolta oppure perché l’ alberello ormai è cresciuto ed è
in grado di stare in piedi da solo.
Ebbene,
che fate per togliere il paletto ?
Lo
tirate verso l’ alto, ma esso non viene via: il terreno ha aderito sulla
superficie interrata del palo e l’ attrito si oppone alla forza delle vostre
braccia, della schiena e delle gambe.
Allora
vi mettete e spingerlo orizzontalmente sulla sua estremità da una parte e poi
dalla parte opposta, e lo fate un bel po’ di volte finché, portato il terreno a
rottura, esso si deforma plasticamente (non più elasticamente) e si crea un bel
po’ di spazio tra il paletto e la terra.
Ora
tirate verso l’ alto e il palo è libero.
Bene, ora immaginate di ribaltare la scena con un angolo di circa 150°.
SOLITA
MINIDIGRESSIONE
Questo
ribaltamento risulta impossibile da farsi oggi con i telefonini che raddrizzano
l’ immagine man mano che ruotate l’ aggeggio…Sono in effetti degli accessori
assolutamente indispensabili, soprattutto per un pilota di caccia supersonico
mentre effettua un tonneau...Sempre che, mentre effettua un tonneau a 1.5 Mach,
abbia voglia e possibilità di guardare il telefonino !
FINE
DELLA SOLITA MINIDIGRESSIONE
Immaginate allora, senza usare un telefonino di oggi, di ruotare la scena di 150° e che il paletto sia la deriva della vostra barca, il terreno sia il materiale che compone la chiglia della vostra barca e voi, con l’ azione delle vostre braccia, siate la portanza idrodinamica e l’ azione del moto ondoso sulla lama di deriva.
Ecco,
così: proprio una bella scenetta e molto “viva” !
Con
le vostre braccia potete sbizzarrirvi a imitare l’ oscillazione delle onde e la
spinta trasversale della portanza che si oppone allo scarroccio…
Ora
comprendete bene che le caratteristiche meccaniche del terreno diventano
fondamentali per lasciare il palo al suo posto o permettergli di sfilarsi dalla
sua sede e di andarsene a spasso…
In
altre parole, di che cosa e come è fatto l’ attacco della deriva
alla chiglia nella vostra barca ?
E
com’ è l’ accoppiata modulo di elasticità-carico di rottura del materiale che
lo compone ?
Questa
è una miscela molto importante, perché più è alto il modulo di elasticità e
meno il materiale si deforma; più è alto il carico di rottura e meno spessore
si può usare.
MODULO ELASTICITA’ CARICO ROTTURA
LEGNO 120.000
800
PRFV 70.000 1.000
ALLUMINIO
700.000
2.700
CARBONIO 300.000-800.000 20.000 Kg/cmq
ACCIAIO
2.100.000
4.000
VETRO
E 7.000.000 24.000
KEVLAR
130.000-150.000 30.000
Ora
vediamo di commentare i dati della tabella.
Se
avete una chiglia stellata (come la prima delle foto precedenti) è come se aveste impiantato 2 paletti leggermente
divaricati tra loro e, nel momento in cui spingeste sulle loro estremità, uno
cercherebbe di sfilarsi dal terreno mentre l’ altro cercherebbe di impiantarvisi
ancor di più.
Carlo
Sciarrelli amava questo tipo di chiglie, anche per un faccenda di minimo di
superficie bagnata nelle sezioni trasversali dello scafo (una linea retta è la
più breve distanza tra due punti).
Con
una chiglia del genere il fatto di perdere la chiglia, cioè che i due paletti
si sfilino contemporaneamente, è pressoché impossibile indipendentemente dal
materiale adottato.
Se
invece avete una deriva attaccata alla chiglia (come la seconda delle foto precedenti e come la maggior parte delle
barche di oggi), il paletto è uno solo e le caratteristiche meccaniche del
terreno diventano essenziali.
Guardate
gli ordini di grandezza estremi dei carichi di rottura dei materiali in
tabella: il carbonio, il vetro E e il Kevlar permettono di ridurre gli spessori
in modo incredibile (cioè di piantare il paletto molto poco nel terreno) non
solo, ma guardando i valori dei loro moduli di elasticità si capisce che per
quanto spingiate sul paletto esso oscilla di pochissimo, perché il terreno si
deforma molto poco: un terreno sottile e rigidissimo.
Il
legno e la vetroresina, invece, hanno bisogno di spessori più elevati (il
paletto deve essere piantato più profondamente) e, spingendolo, oscillerebbe
molto di più: un terreno spesso e elastico.
Allora,
lasciando perdere i materiali metallici con caratteristiche intermedie, che può
succedere nella realtà ?
Nella
realtà va comunque tutto bene quando si fa un uso normale della barca, a tutto
vantaggio delle prestazioni di quella realizzata con i materiali più rigidi
(compositi con fibre aramidiche), che sarà indubbiamente più leggera perché
costruita con spessori minori.
ALTRA
MINIDIGRESSIONE
I
contributi dei diversi pesi specifici dei materiali non li consideriamo perché
comunque si tratta di compositi, cioè di fibre annegate nella resina, e
pertanto è quasi solo questa che determina il peso specifico (che quindi è
simile per tutti, con un lieve vantaggio per il legno e un considerevole
svantaggio per l’ acciaio).
FINE
DELL’ ALTRA MINI DIGRESSIONE
Ma
quando arriva la situazione critica, cioè per esempio quando chiedete aiuto ad
un altro per spingere insieme a voi sul paletto (che nella realtà significa che
una bella onda sta coricando la barca), i materiali più elastici trovano
risorse nel loro carico di rottura (in genere le hanno perché i progettisti
sanno di non poter limare troppo lo spessore di un materiale deformabile) infatti
hanno ancora risorse di deformazione scivolando eventualmente nella loro
plasticità; i
materiali più rigidi non hanno risorse di deformazione e, se hanno raggiunto il
loro carico di rottura perché i progettisti ne hanno limato gli spessori all’
inverosimile, non resta loro altro che fare CRACK !
ANCORA
UNA MINIDIGRESSIONE
Non
capisco perché ci piace avere il controllo della situazione del motore sotto
forma delle spie della carica dell’ alternatore, della pressione dell’ olio di
lubrificazione, della temperatura dell’ acqua di raffreddamento, ma poi non ne
vogliamo saperne di avere delle spie sulla tenuta delle strutture della nostra
barca (le deformazioni di poliestere, alluminio, vetroresina, sono le spie
dell’ imminente loro cedimento, mentre le deformazioni delle fibre aramidiche
sono invisibili).
FINE
DELLA MINIDIGRESSIONE (L’ ULTIMA)
A
questo punto mi vien da pensare come mai gli aerei non perdono le ali con la
stessa facilità con cui le barche perdono le chiglie….
E’
vero che l’ acqua spinge più dell’ aria e soprattutto che le onde sono molte e
diverse mentre i vuoti d’ aria sono più rari, ma francamente mi chiedo: ci sarà
un motivo per cui gli arerei principalmente sono fatti di alluminio e non di
varie miscele di compositi, o no ?
Non
è che forse l’ alluminio lo si conosce molto bene, mentre le miscele di
compositi ci risultano ancora “piene di capricci” ?
Non
è che, per esempio, dell’ alluminio si sa che ha un modulo di elasticità più o
meno costante, mentre nella fibra di carbonio varia da 220.000 a 800.000 (4
volte di più o di meno) in funzione della temperatura di grafitizzazione ?
Non
è che l’ alluminio è alluminio, mentre i compositi hanno dentro di tutto e di
più ? (Potrebbe anche essere che tra le stuoie di fibre stoccate a magazzino
abbia trovato rifugio una tribù di scarafaggi e che vengano annegati nel
composito insieme al resto, come tanti anni fa si raccontava dei pilastri dei
viadotti di alcune autostrade italiane dove, insieme al calcestruzzo,
stazionavano le spoglie dei nemici della mafia).
Non
è che per caso si è ormai tutti d’ accordo che un aereo non deve cadere, mentre
non gli frega niente a nessuno se una barca affonda ?
Forse
sono domande ingenue.
Forse
qualcuno di voi ha delle risposte perché ne sa più di me.
Forse
i moderni software di progettazione riescono a tener conto anche di questi
aspetti.
Forse
chi naviga su una barca da regata di oggi è consapevole che dopo ogni onda c’è
il rischio del naufragio.
Tutti
sarete d’ accordo però sul fatto che se si spezza una fascetta metallica di una
valvola di una presa mare a terra riusciamo a tornare lo stesso, ma se perdiamo
la chiglia perdiamo quasi istantaneamente tutta la barca, e alle volte anche
chi ci è rimasto dentro.
E
questo mi pare un “paletto” fondamentale, no ?
Sarò
scemo, sarò fuori moda, sarò ignorante, ma in tutti questi anni che navigo (e
sono 50) una sola volta ho avuto un CRACK sulla mia barca:
“Per
caso si trattava di una scotta in Kevlar ?”, chiede zio Pino.
“Eh,
hai proprio indovinato!”, gli rispondo.
Il kevlar, invece, praticamente si spezza prima di allungarsi