NAUTICA UTILE O NAUTICA
INTELLIGENTE ?
Ho avuto infatti
molte soddisfazioni, infatti diversi clienti sono tornati da me in occasione
del loro secondo acquisto nautico e molti di voi mi hanno scritto sia per
manifestarmi apprezzamento per ciò che scrivo in questo sito, sia per
collaborare alla sua edizione.
Tuttavia ogni
tanto mi prende lo sconforto, il che è una cosa abbastanza normale : mica nella
vita si può essere sempre carichi al 100 %; gli alti e bassi del nostro umore
fanno parte del vivere quotidiano.
E’ che
questo sconforto non è sentimentale ma professionale: nel mio mestiere infatti
non ho a che fare solo con barche, o capannoni, o finestre, o travi, o verricelli.
Se il mio
lavoro si limitasse a ciò sarebbe facilissimo e (quasi) spensierato; purtroppo devo
vedermela anche e soprattutto con le persone.
Insomma la
mia insoddisfazione deriva dal fatto che, dovendo giustificare ciò che dico, che
scrivo e che faccio, talvolta mi trovo ad avere a che fare con persone alle
quali piace complicare le cose e questo loro punto di vista mi spiazza completamente.
Da quando
sono nato, infatti, intorno a me sono abituato a vedere una natura che tende
sempre a semplificare le cose: nessun ruscello si sogna mai di scorrere in
salita, né alcuna leonessa si sogna di sprecare energie inutili standosene a
portata di fiuto del branco di gazzelle, né il calore abbandona spontaneamente
una sorgente a temperatura inferiore per migrare verso una a temperatura
superiore.
Insomma
tutta la natura in qualsiasi forma la si studi (minerale, animale, vegetale)
cerca sempre di fare meno fatica possibile per campare; è questo un
atteggiamento che a parer mio è assolutamente intelligente anzi – anche a
parere di qualche illustre etologo – è la definizione stessa dell’
intelligenza.
Ma allora
perché esistono appartenenti al genere umano (e, ahinoi, sono la maggior parte)
che invece complicano le cose ?
La risposta
è retorica e non la voglio dare io.
Lasciate
allora che io riporti qui qualche esempio di ciò che voglio dire: questo mio
sfogo, anche se del tutto personale, spero serva a fare un po’ di auto-analisi
e pertanto credo si inquadri ancora una volta come nauticamente utile.
Non
aggiungerò alcun commento agli esempi seguenti, lasciandolo al lettore.
Mi è
successo di essere stato chiamato con urgenza al capezzale di una barca appena
alata e ancora sospesa sulle cinghie per diagnosticare o meno la presenza di
osmosi, dopo che il potenziale acquirente aveva fatto eseguire una verifica con
gli ultrasuoni dalla quale risultava la presenza del 99 % di umidità relativa
(e vorrei ben vedere che non fosse così, con lo scafo ancora bagnato).
Eseguiti da
parte mia alcuni saggi scratch-test (raschiamento a campione delle vernici e
visione del gel-coat sottostante) e verificata l’ assenza di osmosi e la
presenza di un trattamento preventivo sul gel-coat, il potenziale acquirente ha
ignorato la mia verifica e il mio impegno a rilasciarne relazione scritta (eppure
è stato lui ad avermi chiamato) e, chiedendomi una garanzia nel caso lo scafo
avesse comunque presentato osmosi, ha preteso che venisse nuovamente effettuata
una misura dell’ umidità relativa dello scafo dopo un paio d’ ore.
Io me ne sono
andato sconfortato, vista la nullità di considerazione del
mio intervento, dopodiché mi hanno informato che la misura
dell’ umidità
relativa effettuata nel pomeriggio aveva dato come risultato il 10%.
Appena due
ore per passare dal 99 al 10, che attendibilità !
Leggendo
occasionalmente sui blog di vela ci si accorge come la presenza nei dibattiti
delle fibre aramidiche sia ormai una costante.
Anzi, se
qualcuno si azzarda a criticare questi prodotti sfornati della chimica recente,
viene immediatamente tacciato per una mosca bianca, refrattaria agli
aggiornamenti e alle sperimentazioni.
A bordo
della mia barca ho le scotte del genoa che sono da
Il genoa è
sui 55 mq e la scorsa estate, cazzando sul winch con una ventina di nodi di
vento, una scotta ha ceduto di schianto (nella foto).
Il carico
di rottura di una cima da
Il guadagno
del winch è di circa
Adattando
questi parametri alla situazione di bordo risulterebbe che la scotta ha ceduto 20
volte prima del suo carico di rottura (350 contro 7000) !
Dicono che
è colpa della pastecca del passascotte, che deve essere a gola piatta, così da
permettere alle treccine di kevlar che costituiscono l’ anima di lavorare
tirando tutte insieme allo stesso tempo… ma anche se avessi adottato pastecche
dalla gola piatta, come è possibile che tutte le fibre tirino insieme
simultaneamente ? Come è possibile che non esista allungamento diverso tra un
fascio di fili che devono per forza avvolgersi su diametri diversi ?
I
Un
lettore
mi ha inviato delle foto relative all’ attacco della pinna allo
scafo della sua
barca (che per correttezza di privacy non è quello riportato nell' immagine);
ritraggono alcuni prigionieri della chiglia e le esigue piastre di
diffusione poste all’ interno della sentina (non nomino il
cantiere molto noto
che ha fatto una simile schifezza); sono visibili delle vistose fessure
che
dalle piastre si ramificano verso il guscio orientate per madiere; egli
stesso
denuncia che la pinna di deriva oscilla a barca alata; mi chiede cosa
ne penso
e se sono in grado di fare una perizia e un’ analisi di
intervento.
Alla mia
diagnosi di urgente intervento di sostituzione delle piastre con altre sagomate
così da diffondere meglio i carichi, all’ applicazione di fazzolettature di
rinforzo in vetroresina e alla mia disponibilità ad eseguire i calcoli secondo
le condizioni di carico previste dalle omologazioni dei Registri Navali
(condizione con alberi in acqua e condizione con pinna in aria), risponde meravigliandosi
che io non esiga che vengano fatti prima degli esami approfonditi sull’ entità
delle fessure a mezzo termografia o raggi X per verificare "se anche sotto le
piastre la vetroresina sia delaminata”…
Ecco, forse
non sono chiaro nel mio pensiero o forse non sono adatto ai tempi che corrono.
Io amo la
semplicità, se però viviamo in un epoca complicata è meglio che io lasci.
A me piace
guardare con gli occhi se le bolle di osmosi ci sono o no; non mi piace
affidarmi ad un amperometro travestito da lettore di umidità (basta cambiarne
la scala di lettura) che ha la pretesa di entrare dentro la plastica e di dirmi
che il valore di corrente elettrica che lo attraversa corrisponde alla diagnosi della
presenza di bolle o meno….eppure c’è gente che lo crede !
A me piace
avere un po’ di elasticità nelle scotte in poliestere prestirato perché non
disputo le regate dell’ America’s Cup; non mi piace avere delle scotte di
kevlar rigidissime che schiattano di colpo perché incapaci di adattarsi alle
tensioni del mio winch….eppure c’è gente che farebbe anche il minestrone col
kevlar e che confonde fragilità con affidabilità !
A me piace
capire come funziona il materiale e come viaggiano al suo interno sia le
tensioni che le rotture, soprattutto mi piace che la barca - se viene ad essere
coricata da un’ onda e mette l’ albero in acqua - sia anche in grado di
sollevarsi da sola senza perdere la chiglia, perché su quella barca ci porto la
mia famiglia; non so che farmene della termogarfia e delle radiografie se vedo
già con i miei occhi una bella fessura….eppure c’è gente che non crede ai propri occhi !
E’ come
andare in un orfanotrofio ad Addis Abeba, vedere e toccare i bambini che al
mondo hanno solo il loro corpo che grazie a Dio (o purtroppo per loro) ancora
respira e richiedere una indagine fiscale per misurare il loro reddito
imponibile così da scoprire se abbiano fame o meno.
E’ come attendere
prima di suturare la ferita dalla quale esce un femore di un ricoverato d’
urgenza al pronto soccorso, perché con una lastra occorre verificare se c’è
stata la frattura dell’ osso.
Sbaglio forse
nel cercare la semplicità ?
Un mio
cliente mi ha posto tempo fa una domanda : “Tu sai dove vanno a finire le
barche da diporto in disarmo ?”, che corrisponde alla seguente affermazione :
“Esistono gli sfasciacarrozze per le auto, ma non ho mai visto uno sfascia
battelli per le barche”.
Ecco, io
per la verità ho visto un cantiere a San Giorgio di Nogaro che ha un vastissimo
piazzale dove sono relegati alcuni relitti.
Sono scafi
molto vecchi e in disarmo, lasciati alle intemperie.
Il legno era riciclabile prima dell' avvento della resine epossidiche con le quali viene oggi imbevuto....
La resina sintetica rinforzata con fibre varie (non solo di vetro) crea problemi di smaltimento anche se bruciata...
E’ ovvio
che, come avviene per le auto, lo smontaggio e la raccolta differenziata di
tutte le parti in legno, alluminio, acciaio, ghisa, piombo, bronzo possa essere
effettuato e che la manodopera per queste operazioni abbia comunque un costo.
Resta però
il problema dell’ involucro (scafo e coperta) nel caso esso sia in vetroresina
o in fibre aramidiche resinate: il problema è l’ impossibilità di dividere la
resina dalle fibre in essa annegate, o perlomeno io non sono al corrente di
metodologie per eseguire tale operazione a costi accessibili.
Allora ?
Non resta
che la discarica di rifiuti speciali.
Ma tutto
ciò è semplice, o meglio, è intelligente ?
E non è
forse vero che più ingredienti metto dentro la pentola per produrre il
minestrone più affatico il mio stomaco e
il mio intestino che devono lavorare di più e più a lungo per demolirli e
assorbirli tutti ?
Ha senso
accessoriare le nostre barche con tutto e ancor di più ?
Ha senso
continuare in una ricerca che sforni nuovi materiali prima di aver messo a
punto una ricerca che sia pronta a smaltirli e riciclarli ?
Purtroppo
la risposta la facciamo sempre e solo noi “consumatori”.
Nel mentre
un’ azienda è incentivata a produrre winch o punti luce avvenieristici perché
noi li comperiamo, così non esiste azienda che si preoccupi di come poi
smaltire questi nuovi accessori perché
questo non fa parte della mentalità del commercio (in pratica ai consumatori
non interessa).
E tutto ciò, visto con la logica della Natura che ci ha creati e che da millenni persegue la semplicità, è intelligente ?