LE
NORME
considerazioni
molto-poco serie su qualcosa di poco-molto utile
Le
norme sono quelle cose che dovrebbero tutelarci e invece ci mettono sempre
psicologicamente in apprensione; dovrebbero farci dormire sonni tranquilli e
invece ci tengono svegli per paura di essere multati.
Questo
succede unicamente perché NOI siamo gente onesta, pertanto a tutelare noi
stessi e gli altri siamo in grado benissimo da soli; ciò che ci resta è quindi
l’ ansia nel rispetto di una “cosa” che viene scritta, aggiornata e che siamo
anche tenuti a seguire nel suo aggiornamento pena il non rispetto della stessa
e quindi la sanzione!
Per
tutti quelli invece che, per sprovvedutezza o dolo (in altre parole i deficienti
o i delinquenti) non sono in grado di tutelarsi e tutelare gli altri, le norme
semplicemente non esistono: esse cioè vengono sistematicamente ignorate.
Agli
onesti creano solo ansia.
Per
i disonesti sono superflue.
Al
che viene spontaneo chiedersi a che servano!
Probabilmente
servono a stabilire chi ha ragione o torto quando nella vita un onesto ha la
sfiga di incontrare un deficiente o un delinquente, cioè quando per esempio una
persona per bene viene investita dall’ auto guidata da un drogato…
Infatti
quasi tutte le norme sono scritte da avvocati e poi vengono proposte e approvate da politici (che si sono consultati
con altri avvocati).
Le
norme sono una cosa già di per se’ volutamente complessa che in sostanza sono fatte per
eliminare le possibilità di “fare i furbi” (termine il cui significato esiste quasi
solo in Italia).
Che
poi “eliminare” è un verbo grosso, diciamo che “ridurre” sarebbe già
ottimistico.
Le
norme sono quella cosa che è stata volutamente vieppiù complicata con la
legiferazione della Comunità Europea.
Non
oso pensare a cosa succederebbe se a legiferare fosse una Comunità Mondiale…Già
solo col segnalamento marittimo di ingresso dei porti, sai che casino!
Tant’è
che quando vai al negozio di nautica a comprar qualcosa questa continua smania
di aggiornamento fa sì che il dialogo sia più o meno il seguente:
“- Buongiorno, vorrei una
cosa per la mia barca.
- Ah, ma lei conosce o no la
normativa vigente su questo e su quello?... Per esempio la bandiera adesso deve
essere grande così, lunga così e deve essere messa colì… La vedo perplesso!...Scusi,
ma lei è al corrente dell’ ultimo aggiornamento?
- Ultimo aggiornamento? Ma
non l’ avevano appena aggiornata l’ anno scorso?
- E’ per uniformarsi al resto
d’ Europa!...Adesso le boette devono essere due se naviga lì, tre se naviga su,
quattro se naviga giù… Se poi va oltre allora ci vogliono quelle coi lampi… Se
va più oltre allora ne occorrono otto: tre semplici, tre coi lampi e due col
fumo, ma quelle col fumo non le ho perché mi devono arrivare quelle aggiornate conformi al mercato asiatico...
- Ah, e per il salvagente?
- Quello dipende dai Kilo
Newton!
- I Kilo Newton?
- Ma sì, la riserva di
galleggiamento e naturalmente la navigazione entro, oltre o “più oltre”!
- Ma in famiglia siamo tutti
magri!
- Non importa quanto pesiate,
l’ importante è quanto riportato sul timbro della riserva di galleggiabilità e
la distanza dalla costa! Lei sa ora se navigherà entro, oltre o "più oltre"?
- Anime dei miei morti! Beh,
io mi fermo solo oltre e non vado “più oltre”... allora quanto devo spendere?”.
E
poi è mai possibile che quando i politici “normano” non abbiano altro sistema
che usare il metodo dello scaglione?
Se
la tua barca ha un centimetro in più o uno in meno rispetto ai dieci o ai
quattordici metri fuori tutto, diventa un’ altra “cosa”.
Paghi
in un modo la tassa di stazionamento, oppure addirittura non la paghi.
Devi
o non devi avere la patente.
Quando
rivendi la barca, questa ha un valore completamente diverso.
Paghi
il notaio o non lo paghi.
Paghi
la trascrizione nella Capitaneria di Porto o non la paghi.
Ma
lo sai che una barca di nove metri e novantanove, a parità di altre condizioni,
puoi riuscire a venderla anche a cinquemila Euro in più di una lunga dieci
metri e zerouno?
Potenza
degli scaglioni!
Uno
scaglione può far figurare che sei padrone di uno yacht oppure che sei
nullatenente!
Pensa
se facessero la stessa cosa per le automobili: per esempio un bello scaglione
fissato ad una lunghezza fuori tutto della carrozzeria di quattro metri.
Tutte
le auto lunghe fino a tre metri e novantanove mettiamo che non esistano e le
chiamiamo veicolanti: non hanno targa, non si sa chi le possiede, non pagano
tasse, possono non avere l’ airbag e le cinture di sicurezza.
Tutte
le auto da quattro metri in su facciamo che esistono e le chiamiamo automobili,
pagano mille Euro di tassa di passaggio di proprietà e devono avere airbag e
cinture di serie, nonché un estintore ogni sedile.
Bizzarro,
no?
Poi
chissà mai per quale caso del destino c’ è qualcuno che riesce a fabbricare
barche lunghe quasi undici metri che inspiegabilmente risultano lunghe nove
metri e novantanove!
Il
colmo della legiferazione nautica basata sugli scaglioni (e solo in Italia
siamo capaci di questo) si raggiunge con il rinnovo del certificato di
sicurezza.
Ogni
cinque anni un tecnico deve verificare che la mia imbarcazione lunga m 10.01
ancora galleggi, non abbia riportato danni, che abbia ancora la valvola del
gpl, quella del gasolio comandata dalla plancia, che il tubo flessibile del gas
non sia scaduto, che gli estintori ci siano (uno per la sala macchine, uno per
la plancia, e uno per ogni cabina chiudibile con porta) e siano in carica, che
le valvole delle prese a mare si aprano e chiudano…
Ma
se la mia barca è lunga m 9.99 no, perché è un natante.
Evidentemente
per il legislatore italico il natante di m 9.99 non naviga dove naviga l’
imbarcazione di m 10.01: si tratta senz’ altro della navigazione in due mari diversi.
I
mari diversi hanno onde con caratteristiche meccaniche diverse; le onde che
investono il natante di m 9.99 non lo schiaffeggiano allo stesso modo di quelle
che investono l’ imbarcazione da m 10.01.
Anche
le perturbazioni o le burrasche sono diverse: una burrasca o un temporale con
raffiche di 60 Kn sanno distinguere se sul loro percorso incontrano un natante
o una imbarcazione; mentre nel secondo caso se ne impippano e si sfogano per
benino come le differenze di pressione impongono loro di fare, nel primo caso
stanno più attenti e riducono automaticamente la pressione.
Rilasciano
localmente le isobare e accarezzano le vele e le strutture del natante
dicendogli: “Hai visto? Ti abbiamo veduto dall’ alto. Lo sappiamo che non sei
iscritto ai R.I.D. e pertanto non ti facciamo male!”
Ma
io sto sbagliano in questa mia inutile ironia.
La
ragione è un’ altra.
L’
italico legislatore di cui sopra sapientemente ha sciolto l’ obbligo del
rinnovo quinquennale del certificato di sicurezza per i natanti perché per essi
non l’ ha mai imposto in quanto non esistevano.
Ed
anche per questo l’ italico legislatore ha una ragione.
Gli
armatori delle imbarcazioni da diporto infatti sono tutti dei potenziali
sprovveduti e/o delinquenti: possedere una imbarcazione di m 10.01 e oltre
significa infatti non aver imparato nulla dal mare; significa navigare con la
zattera scaduta, fregandosi se le valvole delle prese a mare del wc sono
bloccate e il tubo del gas è fessurato dalle fascette inox.
Se
invece si è armatori di un natante di m 9.99 si è imparato tutto dal mare e si
è pienamente consapevoli dell’ importanza della manutenzione e dei guai che ne
sono associati in caso di trascuratezza.
Ecco
la ragione dell’ italico legislatore!
Se
sei armatore di un natante sei uno skipper esperto (e quindi non ti serve la
visita periodica di un tecnico), se sei armatore di una imbarcazione sei un
deficiente (nel senso che ti manca l’ esperienza sul mare e un tecnico deve
controllarti).
Inoltre
succede molto spesso che l’ armatore di una imbarcazione abbia fatto l’ esame
per la patente nautica, quello del natante no.
Ah!
E
come sono gli esami per la patente nautica?
Non
è forse anche questa una figlia della follia burocratica?.
Esperienza
personale…
Ricordo
che l’ esame teorico lo preparai da privatista, per fare quello pratico mi aggregai
invece ad una scuola per patenti nautiche senza però aver frequentato alcuna
lezione: minima spesa, massimo rendimento.
Ma
i paradossi non dipesero da queste scelte.
La
follia era rappresentata dall’ esaminatore teorico che, come tutti i suoi pari,
era sempre alla ricerca del cavillo per “cercare di fregare”.
Era
uno del tipo: “Lei deve ancorarsi in rada, come si comporta?”.
Al
che tu cominciavi a dire la tua, con tutto il buon senso che i libri e l’
esperienza ti suggeriscono.
“Non
basta, e poi ?”, comincia a dire il tizio.
Al
che tu ti sforzavi di veder che cosa mai avevi dimenticato, e la speranza si
accendeva quando pensavi alla maschera da sub e al fatto che potevi andare in
ricognizione a vedere l’ ancora adagiata sul fondo.
“Non
basta, e poi ?”, continuava con lo stesso tono.
Al
che ti pigliava lo sconforto, e cominciavi ad arrampicarti su una china sempre
più ripida, ripassavi tutto ciò che avevi detto a voce alta (scandaglio,
rilevamenti, catena in chiaro, barca ferma, ordine di indietro piano, tensione
della catena o del cavo, lunghezza del calumo,
presa, ordine di indietro tutta, verifica rilevamenti, maschera e pinne,
ancora rilevamenti per altri cinque minuti, controllo marea.....), ah ecco,
settore di giro: verifica che non ci siano altre barche che possano
interferire.
“Non
basta, e poi ?”.
Alla
faccia.....afforco !
“Non
basta, e poi ?”.
Mmm,
e poi, e poi, e poi.
Quando
dopo aver rianalizzato tutto, aver pensato ad altre soluzioni che però sarebbero
risultate in contrasto con quanto detto prima (e quindi sarebbero diventate
pericolose per la continuazione dell’ esame), esserti spremuto il cranio alla
ricerca di non so più cosa e, col cervello in pappa, alla fine ti dichiaravi
battuto, ecco che sul viso del tizio appariva un sorrisetto di grande
soddisfazione ed egli ti spiattellava la “sua” soluzione:
“Ma
non ha mai sentito parlare di grippiali?
Un bel grippiale con su scritto il nome della sua barca è un sinonimo di
etichetta navale!”.
Ma
non finiva mica qui, perché il giorno della prova pratica naturalmente era
presente l’ esaminatore pratico (detto "esperto velico"), che poteva essere la stessa persona o no.
L’
esame, ricordo, lo feci con un Cognac, barca a doppio spigolo in compensato
marino di sette metri e mezzo fuori tutto che risultava regolarmente immatricolato (allora
non esisteva la categoria dei natanti sotto i 10 m) e dotato di motore
fuoribordo.
Eravamo
in otto sopra quella barca: il padrone della barca e titolare della scuola, sei
candidati e il tizio esaminante.
Ovviamente
non si sapeva dove mettersi; dato che i posti di diritto assegnati al padrone e
al tizio erano in pozzetto è ovvio che i sei candidati si pestassero i piedi.
Del
resto non si poteva nemmeno pretendere che proprio quel giorno e proprio all’
ora fissata dal tizio il vento fosse puntuale, infatti quella mattina non si
era proprio nemmeno svegliato.
“Si
va a motore”, disse il tizio esaminatore.
Si
noti che l’ esame era per la patente a vela con motore ausiliario.
Bene, man mano che a turno prendevamo in mano il timone il tizio ordinava con voce
seccata: “Orzi, orzi….Adesso viri. Ecco alla poggia così. Ma dove va? Non vede che sta orzando?”.
Naturalmente
senza un filo di vento e senza vele a riva era estremamente opinabile
determinare quale fosse la direzione che portava ad orzare e quale quella che
portava a poggiare, sicché tra i candidati ci fu un po’ di trambusto.
Mi
andò bene perché essendo quarto di turno avevo imparato che “Orzi” per l’
esaminatore voleva dire andare a sinistra e “Poggi” voleva dire andare a dritta
finché la prua si dirigeva verso sud.
Virando,
cioè andando verso nord, bastava fare il contrario.
Il
tizio fu contento di essersi fatto capire (!), e ordinò la presa di una mano di
terzaroli.
Naturalmente
si dovette prima issare la randa, perché già ci stavamo tutti chiedendo come
poter prendere una mano con la randa ancora serrata sul boma.
Il
tizio attese e, ad un suo ordine, sei persone si avventarono su una randa di
dodici metri quadrati che rabbrividì perché venne strattonata da tutte e parti
e rimessa a segno con una tensione vicino alle bugne veramente spaventosa.
Il
padrone della scuola, trattenendo un attacco di ulcera per le condizioni in cui
si trovava il tessuto della sua randa, senza darlo a vedere e giustificando
pienamente gli sforzi (veementi) dei sei candidati disse al tizio esaminante:
“Bella piatta, eh? Così deve essere la
randa quando c’ é vento !”.
Oggi
mi dicono che le cose sono un po’ cambiate: ci sono i quiz e poi l’ esame.
E’
meglio? E’ peggio?
Credo
sia la stessa cosa, perché l’ esame te lo fa il mare dopo (se ci navighi sopra).
Il
problema è che non lo fa solo a te e al tuo equipaggio, ma anche alla tua
barca.
Non
mi risulta che negli esami di patente nautica sia previsto un settore di
argomenti (e quindi di domande) riguardanti la manutenzione della barca.
Che
invece, secondo me, è altrettanto fondamentale della conduzione della
navigazione.
Il
mare non mette sotto stress solo lo stomaco e la tua capacità di cavartela
nelle situazioni scabrose, ma mette sotto stress anche lo scafo, le
attrezzature e gli impianti.
Immaginate
quel guazzabuglio di strati di fibra di vetro, resine, legno, alluminio,
acciaio inossidabile, bronzo, zinco, rame che compongono scafo, arredamento,
albero, sartiame, motore, impianti idraulico ed elettrico che se ne stanno
fermi per mesi, talvolta per anni, e poi un bel giorno vengono sballottati e
spruzzati per bene dall’ acqua salata….
In
barca si verificano di quelle cose che talvolta nessuno, ma proprio nessuno
riesce ad immaginare.
Certi
particolari tralasciati diventano di una importanza totale.
Volete
un esempio tra tanti?
Aver
trascurato di sostituire l’ elastico che trattiene il mezzomarinaio in coperta,
ormai cotto dal sole dell’ estate precedente…Alla prima ondata il mezzomarinaio
finisce in mare.
Oppure
sentite questo esempio, un po’ più articolato: immaginate di acquistare un 12
metri a vela recente, anche nuovo, oppure usato di dieci/quindici anni, non fa
differenza.
Troverete
delle linee di poppa abbastanza aperte (ne abbiamo già parlato) con due cabine
di poppa abbastanza strette (di questo non abbiamo ancora parlato).
Il
progettista, per far starci anche il secondo wc e ricavare anche un’ ampia
dinette, ha incastonato le cuccette in modo tale che per spogliarvi (o
vestirvi) vi tocca entrare in una delle due cabine, rannicchiarvi per prendere
la roba, uscire nella dinette, vestirvi o spogliarvi e quindi rannicchiarvi di
nuovo nella cabina per riporre la roba non utilizzata.
Infatti
vi sarà pressoché impossibile - stando in piedi in una cabina - aprire le
braccia per infilarvi le maniche della maglietta o della giacca.
“Poco
male” dirà qualcuno, cosa vuoi che sia.
Invece
no!
Questa
stessa scena non è detto infatti che si debba svolgere in porto con la barca
ormeggiata, ma può capitare che succeda in mare, con una bella onda o un temporale
in arrivo.
Magari
avete lasciato la moglie al timone e vi siete precipitati dabbasso per
indossare la cerata ma, nel trambusto delle manovre di entrata e uscita di cui
sopra per potervi vestire, avete sbattuto il fianco sulla paratia della dinette
e vi siete incrinati una costola lasciando vostra moglie in preda allo
sconforto.
Oppure
siete rimasti al timone chiedendo alla moglie di scendere ed essa nelle
operazioni laboriose di cui sopra ha cominciato a soffrire il mal di mare, così
ora vi trovate a operare da solo in coperta.
“Pessimista!”
mi dite.
Oh
no, questa cose (e anche di peggio) succedono spesso in crociera.
Per
esempio nella mia barca (Comet 12) progettata da quel sant’ uomo di Vallicelli,
ci si può tranquillamente spogliare o vestire nelle cabine di poppa, restando
in piedi, aprendo le braccia e addirittura puntellandosi con le gambe sulle
paratie fino ad operazione conclusa.
Quando
considerate l’ acquisto di una barca provate a scendere dentro e vestirvi o
spogliarvi, o a cercare qualcosa quando il mare è mosso o molto mosso; allora
capirete subito l’ importanza di certi accorgimenti che in porto o, peggio, al
Salone Nautico non si vedono.
Maurizio
Maran è un mio cliente cui feci una perizia molti anni fa su di un Dehler 37.
All’
inizio di quest’ anno mi ha cercato per affidarmi la perizia di un’ altra barca
di 40 piedi (molto più recente) su cui aveva messo gli occhi …
E’
andato a vederla (Grand Soleil), insieme a qualche altra della stessa metratura
(Jeanneau), ma la telefonata che mi ha fatto è stata di profonda delusione.
“Ah,
era meglio il mio Dehler 37!... Arredamenti di legno pressoché inesistente,
serbatoi di acqua posizionati all’ estrema prua, cabine di poppa microscopiche,
no no!
Altro
che il Dehler 37 o il Comet 12 o il Comet 420!”
Inutile
dire che questa affermazione di Maurizio mi ha riempito di piacere!
Gli
anni in cui Maurizio ha navigato a bordo del Dehler 37 sono stati molto
proficui…gli hanno fatto capire alcune cose importanti e ben più essenziali di
una poppa larga o di un dritto di prua a piombo.
Anzi,
ora che ci penso, Maurizio è diventato talmente esperto di mare che quasi quasi
potrebbero toglierli il comando di un imbarcazione e affidargli quello di un
natante…
(Firmato:
l’italico legislatore)