UNA COPERTA IN SPECK
Prima
di inoltrarmi sulla filippica relativa al titolo (chiedo già perdono per il
gioco di parole tra speck e teak suggerito da un mio amico frocierista), sento
doveroso dare una importante indicazione nel momento in cui a qualcuno di voi
capiti di andare a visitare una barca usata in vendita.
Dopo
anni in cui mi dedico a periziare barche ho imparato un trucco formidabile per
avere subito una indicazione sullo stato dell’ imbarcazione che vorrei valutare.
Sono
sicuro che è una procedura di cui nessuno ha mai parlato: non è certo un trucco
basato sulla visione esterna della barca, piuttosto si tratta di un metodo di
indagine interna quasi istantaneo ma molto efficace.
Si
tratta di questo: quando scendo la scaletta dal tambucio per entrare nella
cabina (di solito l’ accesso è direttamente in dinette), arrivato coi piedi al
pagliolato chiudo gli occhi e mi affido al fiuto annusando….
Sì,
annuso l’ aria della cabina.
La
situazione ideale è quella in cui non sento alcun odore: significa che non ci
sono liquidi stazionanti da tempo in sentina, che le tubolature e le fascette
dell’ alimentazione del motore sono integre, che il tubo e la valvola del gas
sono in buone condizioni, che le fodere e i cuscini non hanno muffa, che gli
strati di vetroresina sono stati abbondantemente arieggiati, che le dispensa e
il frigo sono stati svuotati, insomma che l’ attuale proprietario non è uno
sprovveduto e che ha cura della sua barca.
E’
il momento in cui vorrei essere un Cirano (vedi foto), dotato di abbondanti ghiandole
odorifere per riuscire a carpire anche i più lievi aromi (o puzze) provenienti
dai recessi dello scafo.
Poi
effettivamente apro gli occhi e mi dedico all’esame di tante altre cose, sia
dentro che fuori, ma il naso mi ha già dato grandi informazioni ed anzi mi ha
già indicato dove e cosa andare a guardare.
“Detto
questo”, come affermano i politici e gli opinionisti per televisione, veniamo
alla coperta in speck….
Il
teak è un legno che, come tutte le opere della natura, di per sé è una cosa
meravigliosa.
In
campo nautico quando si parla di teak si pensa immediatamente e correttamente
al rivestimento della coperta.
In
effetti quando l’ unico materiale per costruire le barche era il legno,
qualcuno (non so chi) pensò di usare il teak per rivestire le parti della
coperta dove ci si doveva muovere per manovrare (non certo per prendere il sole)
ed escogitò l’ idea di usare dei listelli avvitati o incollati (doghe)
intervallati tra loro da strisce di gomma (comenti).
PICCOLISSIMA
DIGRESSIONE
Il
termine “comenti” non sarebbe appropriato per una coperta in teak di oggi; il
termine comento veniva impiegato per il calafataggio del fasciame degli scafi
in legno al fine di assicurarne l’ impermeabilità. Oggi la gomma usata tra le
doghe delle coperte in teak serve solo ad assicurare stabilità e capacità di
dilatazione delle stesse, quindi con finalità molto diversa.
FINE
DELLA PICCOLISSIMA DIGRESSIONE
Il
motivo era chiaro: usare una superficie di legno (allora non c’ era altro
materiale disponibile) che fosse anti sdrucciolo e il più possibile durevole
nel tempo.
Poi
i vari carpentieri trovarono modo di rendere il più geometrico possibile l’
andamento di doghe e comenti sì da “copiare” - nel senso di andare dietro - l’
andamento delle linee della coperta.
Bene.
Ciò
avvenne quando l’ unico materiale per fabbricare le barche era il legno,
appunto.
Oggi,
anzi da un bel po’ di anni, le cose sono cambiate…generalmente le coperte sono
fatte di vetroresina, tuttavia ancora ci sono (o sono richieste) barche in
vetroresina rivestite in teak.
Ora
so che qualcuno dirà: “Ovvio, una coperta in teak è così elegante!”
Questa
opinione può essere vera a patto di accordarsi sul concetto di “eleganza” e su
quanto sia effettivamente indispensabile o utile avere l’ eleganza in coperta per
navigare.
In
questi anni ho visto di tutto e ho provato di tutto, anche a mie spese,
rendendomi conto che eleganza, funzionalità e durata alle volte
sono concetti antitetici...
Il
teak può essere massiccio o impiallacciato sul compensato marino sottostante:
il costo è un po’ diverso (ovviamente a favore dell’ impiallacciato), ma in
entrambi i casi il teak si consuma.
Il
suo consumo è causato da diversi fattori.
Innanzitutto
ci pensa il sole, con gli onnipresenti U.V..
Poi
intervengono anche lo smog (o polveri più o meno sottili che si depositano
tutto l’ anno) e i muschi (che hanno il loro massimo sviluppo a fine inverno).
Quindi
ancora il sole, stavolta con gli Infrarossi (escursioni termiche) insieme col vento.
Insomma,
analizzando in successione: gli U.V. disgregano lentamente la materia organica;
lo smog e i muschi vanno tolti spazzolando nel senso delle fibre del legno con
acqua dolce contribuendo manualmente ad asportare ancora materia; gli
Infrarossi insieme al vento essiccano togliendo umidità…Il combinato di tutto
ciò comporta la diminuzione dello spessore del teak e l’ affioramento dei
comenti.
A
questo punto la coperta, anche se pulita, diventa una serie di canaletti, col
fondo fatto dalle doghe e gli arginelli fatti dai comenti.
La
proprietà di essere antisdrucciolo si esalta fintantoché i comenti reggono, poi
anche essi cedono all’ azione degli U.V. sfilacciandosi a tratti alterni e il
concetto di eleganza lascia lo spazio a quello di una disarmante trasandatezza.
Non
solo, ma fintantoché la coperta in teak è in buono stato la proprietà di essere
antisdrucciolo praticamente non c’è o se c’è è veramente ben nascosta; insomma risulta
di gran lunga meno sdrucciolevole una coperta in vetroresina con inserti ruvidi
stampati o verniciati o incollati.
Oltre
a questo i raggi Infrarossi, di per sé fatti per trasportare calore, innalzano
la temperatura delle superfici: camminare a piedi nudi su una coperta in teak
sotto il sole è impossibile.
La
qual cosa sarebbe anche positiva, in quanto in barca bisogna sempre avere le
scarpe indossate, tuttavia diventa molto negativa quando invece di camminare ci
si sieda sopra (e questo - consentitemi - ritengo sia concesso farlo indossando
anche solo il costume da bagno con le conseguenze che non sto qui a descrivere!)
Infine,
particolare affatto non trascurabile, per putire il teak dallo smog e dai
muschi occorrono tempo, olio di gomito e ginocchia buone…tre cose che a lungo
andare e con l’ avanzare dell’ età diventano noiose e soprattutto molto scomode
se non dolorose e impossibili.
Alla
fine di tutto ciò ci si trova a dover rifare la coperta in teak in media ogni
12-15 anni, con un costo in cantiere di circa 1300,00 Euro /mq.
Di
questi circa 1/4 vanno via per la manodopera di asportazione del rivestimento
deteriorato e di preparazione del fondo, 1/2 per la manodopera di sagomatura,
taglio e fissaggio del nuovo e 1/4 per il materiale.
Significa
che il materiale (doghe e comenti) incide per circa 300 Euro/mq.
E
se invece che rifare la coperta in teak la facessi in speck?
Risparmierei
la metà per la manodopera di sagomatura, taglio e fissaggio e con 5 mm di speck
a circa 55 Euro/mq (4 kg e mezzo a mq) sai quanti panini mi faccio?
Naturalmente
sto scherzando.
Però
mi chiedo con più serietà: se ho una barca di plastica chi me lo fa fare a
tornare a usare il teak?
Unicamente
perché avrei una coperta più “elegante”?
Se
una barca nasce di plastica, sarebbe più opportuno avere una coperta di
plastica: è bianca, non occorre spazzolarla, non scotta, non si essicca, si può
fare antisdrucciolo come si vuole e infine dura nel tempo tanto, ma tanto di
più.
O
se proprio si vuole strafare ci si può incollare sopra un rivestimento adeguato
sul quale il giudizio di eleganza potrà essere diverso, ma quello di tenuta e
manutenzione sarà senz’ altro migliore.
Ed
è quel che ho deciso di fare per il pozzetto della mia barca, nata in plastica
ma con le sedute del pozzetto in teak.
Già
fatte rifare 14 anni fa (con una spesa di Euro 1200,00), le sedute oggi sono da
buttare.
La
mia scelta è stata per il Treadmaster, rivestimento già abbondantemente
sperimentato anche e soprattutto su barche professionali da lavoro; uniforme,
eccellentemente antiscivolo, disponibile nelle tinte: ocra chiaro, grigio,
ardesia, azzurro e sughero.
Non
solo, ma sulla scorta dei diversi lavori manuali che ho imparato in tutti questi
anni in barca (elettricista, idraulico, meccanico, falegname, resinatore),
tutto il lavoro l’ ho fatto da me in compagnia dell’ immenso amico frocierista
Nicola.
Ho
potuto così “testare” le ore di manodopera richieste da un cantiere per fare lo
stesso lavoro e darvi qualche suggerimento su come fare voi stessi nel caso
voleste cimentarvi in tale avventura.
Il
risultato è il seguente:
Materiali:
Treadmaster
pannelli cm 90x120 n° 2 x 90,00 = Euro 180,00
sigillante
Sicaflex o simili tubi da 33 ml n° 4 x 12,00 = Euro 48,00
materiale
di consumo = Euro 30,00
Manodopera
asportazione, preparazione del fondo, sagomatura, taglio e fissaggio:
Sedute
di poppa: ore 5 x 2 persone = 10
Sedute
laterali: ore 6 x 2 persone = 12
A
questo punto il confronto col cantiere non si deve basare tanto sul costo del
materiale, ma su quello delle ore impiegate. Considerando che anche in cantiere
ci si impieghi lo stesso numero di ore, e tenendo buona la ripartizione per il
cantiere fatta più sopra tra importo per materiali e per manodopera, ne
uscirebbe un costo orario di 1000 / 22 = 45 Euro/h.
Corretto?
Esoso?
Lascio
il commento a voi.
Ora,
con qualche foto e un breve filmatino, riassumo le operazioni che ho fatto
insieme a Nicola.
Levigatura del sottofondo
Stesa impregnante (Paraloid - leggi oltre)
Direi
che la cosa più lunga è stata la levigatura del sottofondo, la più impegnativa
il taglio preciso del rivestimento ed anche la stesura del Sicaflex.
La
levigatura l’ abbiamo eseguita con due levigatrici orbitali, una delle quali
col piatto triangolare per raggiungere gli spigoli, e con dischi di carta
vetrata da 60/80.
Naturalmente
occorre avere a portata di mano anche un aspirapolvere.
La
precisione nel taglio dei pannelli di Treadmaster è l’operazione che più di
ogni altra alla fine darà l’ effetto di un lavoro ben eseguito o di un
disastro.
Per
tale motivo consiglio vivamente di predisporre delle sagome in cartone,
sagomate con precisione, con le quali poi tagliare il Treadmaster col cutter e
un profilato rigido di guida.
Sagomatura delle sagome in
cartone
Taglio del Treadmaster
Particolare
cura inoltre deve essere riservata alla posa del silicone sul contorno, che
deve essere né troppo, né poco; piuttosto che sia poco è meglio sia troppo, in
quanto una volta completata la polimerizzazione (insomma quando è diventato
duro) si potranno tagliare le parti in eccesso col taglierino.
Io
ho usato del silicone (Sicaflex) tinta legno, che mi è parso
particolarmente
indicato per la scelta che ho fatto del Treadmaster tinta sughero,
quantomeno sulla parte perimetrale che alla fine resta a vista.
Applicazione del Sicaflex con spatola
Prima di posare il pannello, su indicazione di Nicola, abbiamo anche steso sul residuo del teak levigato una mano di acetone con diluito del Paraloid (resina acrilica); a detta di Nicola (che lavora e risana il legno) la resina aiuta a fissare il supporto di teak residuo sottostante.
Una
volta posato il pannello di Treadmaster, va riservata molta cura nel togliere
l’ eventuale aria in eccesso sottostante al fine di non creare delle bolle.
Si
può usare un rullo o le mani o i piedi, ma attenzione a non toccare il bordo di
Sicaflex ancora fresco sennò trasportate il Sicaflex fresco in giro per la
coperta della vostra barca e fate un macello…
Nel
caso malaugurato in cui di formasse una bolla, una volta asciutto il Sicaflex si
può fare una incisione col cutter su un tassello del Treadmaster, infilarci una
siringa di silicone (trasparente) e riempire la cavità, quindi pressare e
pulire subito l’ eccedenza. Se la bolla non è grossa il metodo funziona e dell’
incisione praticamente non resta traccia.
Inoltre
non riesco proprio a pensare di riuscire a fare questo lavoro da solo: sia il
taglio prima, che la posa del rivestimento sul letto di silicone poi, richiedono
quattro mani e non due.
Una
ultima precauzione: occorre munirsi di molta carta assorbente; è facilissimo
impiastricciarsi le mani di Sicaflex che macchia molto e le mani devono essere
sempre pulite perché si appoggiano dappertutto.
Le sedute del timoniere prima e dopo
Il pozzetto finito: può piacere o no, ma la pulizia e la manutenzione
si sono ridotti parecchio e i miei gomiti e le mie ginocchia ringraziano.